Quanto incide la memoria sul funzionamento personale?
A cura di: Mariangela Lovecchio
In collaborazione con Dott. Klodian Naci
La memoria viene spesso identificata come “ciò che siamo in grado di ricordare consciamente del passato”. Sebbene tale dicitura sia corretta, la funzione della memoria è ben più complessa ed è necessario, quindi, fornirne una definizione più ampia. È possibile indicare la memoria come l’insieme di processi neuropsicologici attivi, sia espliciti che impliciti; il compito di questi processi è generare nuove conoscenze, schemi e quadri interpretativi, fondamentali per una valutazione continua e aggiornata del mondo e dell’attività del pensiero. I processi di base della memoria consistono nel codificare, immagazzinare, consolidare e recuperare le informazioni, e possono coinvolgere fattori emotivi, attentivi e motivazionali. La codifica riguarda l’acquisizione delle informazioni nella loro forma base; questo processo è influenzato dalle caratteristiche dello stimolo e da fattori personali, come aspetti emotivi, motivazionali, autobiografici, cognitivi o semantici. In questa fase il cosiddetto engramma, cioè l’impatto iniziale che un’esperienza ha sul cervello, viene convertita in traccia mnestica ed immagazzinata in base a codici di tipo visivo, semantico, acustico ecc. Durante il processo di consolidamento, la traccia mnestica viene stabilizzata, in modo da essere richiamata durante la fase del recupero ed utilizzata al momento opportuno. La modalità di funzionamento di quest’ultima fase è da considerarsi tutt’altro che passiva, vale a dire che il cosiddetto magazzino mnestico non riproduce fatti, informazioni, esperienze o immagini esattamente come le ha codificate, ma attiva un processo di ricostruzione che è influenzato da diversi fattori: dalla situazione o dal contesto in cui ci troviamo, dal nostro stato emotivo e, nel caso qualcuno ci chieda di ricordare un evento specifico, dalla percezione che abbiamo riguardo alle aspettative di quella persona.
Tipologie di memoria

La letteratura riporta diverse teorie in merito all’elaborazione mnestica, come ad esempio il modello di Atkinson e Shiffrin, che ne distingue diversi tipi in base alle caratteristiche funzionali: memoria a lungo termine (MLT), memoria a breve termine (MBT) e memoria sensoriale; a questi, si affianca il modello della memoria di lavoro o working memory (WM), elaborato da Baddeley e Hitch. La distinzione tra le differenti tipologie di memoria è data in primis dalla diversa capacità di immagazzinare le informazioni nel tempo. Intuitivamente, la MBT ha una capienza limitata, dove le informazioni sono recuperabili per un breve intervallo di tempo, mentre la MLT è in grado di contenere tantissime informazioni per un intervallo di tempo molto lungo (in alcuni casi anche per tutta la vita). Inoltre, in base al tipo di informazioni contenute nel magazzino a lungo termine, sono state distinte diverse sottocomponenti, note come: memoria dichiarativa o esplicita che comprende la memoria semantica e la memoria episodica, memoria autobiografica, memoria procedurale o implicita e memoria prospettica. La memoria sensoriale, invece, riceve moltissimi input provenienti dai sensi, trattenendoli per pochi attimi; a sua volta questo tipo di memoria è suddivisa, in base ai sensi coinvolti, in memoria visiva o iconica e memoria uditiva o ecoica. Infine, la WM è una specificazione di memoria a breve termine, per cui mantiene le informazioni per un intervallo di tempo limitato intervenendo in modo peculiare durante l’esecuzione di compiti cognitivi.
Memoria e funzionamento personale
Simili suddivisioni lasciano intendere che l’elaborazione mnestica sia coinvolta in molteplici processi psichici e comportamentali: pensiamo, ad esempio, ad abilità e movimenti corporei che abbiamo appreso nel tempo: andare in bici, suonare uno strumento, guidare la macchina o eseguire semplici movimenti quotidiani che risultano automatici, sono tutti immagazzinati nella memoria procedurale/implicita. Oppure, quella che potremmo definire la nostra conoscenza “enciclopedica” relativa al mondo, agli oggetti, alle loro funzioni e caratteristiche, alle parole e ai concetti, così come a singoli episodi o eventi, è immagazzinata nella memoria dichiarativa/esplicita. Anche l’insieme di tutte le esperienze, recenti e remote, esplicite ed implicite, che si sono susseguite nel corso della vita sono immagazzinate in una specifica tipologia di memoria, definita autobiografica e che ha tre funzioni fondamentali:
  1. garantire un senso di continuità e stabilità dell’immagine di sé e della propria identità;
  2. permettere di pianificare i comportamenti presenti e futuri;
  3. scegliere quali relazioni sociali coltivare e mantenere, in base ai ricordi delle interazioni passate.


  4. Infine, se pensiamo a tutte quelle attività che non possiamo compiere nel presente ma che pianifichiamo di realizzare in futuro, i processi e le abilità che ci permettono di ricordare l’intenzione di portare a termine ciò che abbiamo pianificato, costituiscono la memoria prospettica. Questi esempi dimostrano quanto i processi mnestici siano integrati tra loro e con altri processi cognitivi, come l’attenzione e l’apprendimento, risultando essenziali per il funzionamento personale; ciò è ancora più evidente in presenza di patologie, organiche e non, che limitano o invalidano le funzioni di memoria. Basti pensare ai danni provocati alla memoria da Alzheimer e demenze senili, patologie neurodegenerative come la corea di Huntington e la sclerosi multipla, lesioni traumatiche, sindrome di Korsakoff e quadri simili: tali condizioni possono generare sia amnesie retrograde, cioè una vera e propria perdita di dati fondamentali relativi alle conoscenze pregresse, agli affetti personali e alla propria identità, sia amnesie anterograde, ovvero provocando un’incapacità di generare nuove conoscenze. Entrambi i tipi di amnesia interferiscono significativamente con la qualità della vita.
Il ruolo delle emozioni nel modulare l’elaborazione mnestica
La memoria non è sempre infallibile ed anche in assenza di amnesie provocate da condizioni organiche, può andare incontro ad un naturale deterioramento. Quando la traccia dei ricordi si frammenta, si perdono i dettagli delle informazioni, fino alla completa perdita; tale fenomeno è noto come “oblio”. Diversi studi hanno individuato la presenza di due tipi di oblio: accidentale e motivato. il primo è indipendente dalla nostra volontà, il che significa che dimentichiamo senza averne l’intenzione. Ciò può essere spiegato dal fatto che eventi non accompagnati da un coinvolgimento emotivo, in genere, non sono in grado di evocare un livello adeguato di attenzione; tali informazioni verranno quindi processate come non importanti e, di conseguenza, facilmente dimenticate. Secondo le neuroscienze, infatti, le emozioni coinvolgono processi modulatori che favoriscono la formazione di nuove sinapsi, attraverso un aumento della plasticità neuronale. Coerentemente con questa affermazione, esperienze che hanno un forte significato personale e sono associate ad un intenso coinvolgimento emotivo, tendono ad essere ricordate più facilmente. In realtà, l’oblio accidentale è assolutamente necessario per il corretto funzionamento della nostra memoria, in quanto permette di non mantenere informazioni che, tutto sommato, non sono utili. Il secondo tipo di oblio, definito come motivato, lascia intendere che vi sia un’intenzionalità nel perdere determinati ricordi. In questo caso, si attivano dei processi mentali che hanno come scopo quello di ridurre l’accesso ad uno specifico ricordo, come nel caso di alcune patologie psichiche, quali il disturbo dissociativo e il disturbo post-traumatico da stress. Questo accade perché esperienze eccessivamente coinvolgenti dal punto di vista emotivo e terrorizzanti, come un evento traumatico, possono generare una risposta opposta a quanto affermato sopra: tale effetto sembra essere mediato da complessi processi neuroendocrini con cui il nostro organismo normalmente reagisce allo stress. In questo caso, infatti, ciò che si verifica è un’inibizione dei processi mnestici a livello della memoria esplicita o dichiarativa. Tuttavia, a livello implicito, alcuni elementi dell’esperienza traumatica vissuta verranno registrati, sebbene non secondo una narrazione logica e coerente ma in frammenti sensoriali ed emotivi: immagini, odori, suoni e sensazioni fisiche, che possono intrudere nel flusso di coscienza sotto forma di flashback. Questa dissociazione tra memoria esplicita ed implicita impedisce che i ricordi traumatici si integrino nel magazzino della memoria autobiografica. Un ulteriore fenomeno a carico della memoria autobiografica, connesso alle emozioni e osservabile in pazienti con disturbo depressivo, è noto come ipergeneralizzazione della memoria. L’ipergeneralizzazione della memoria autobiografica consiste nel fallire il richiamo di specifici ricordi riguardanti eventi passati, in favore di ricordi che sono molto generici; inoltre, soggetti affetti da depressione che presentano il fenomeno dell’ipergeneralizzazione, impiegano più tempo nel richiamare i ricordi.
L’importanza della memoria per il buon esito della psicoterapia
Ricordare in maniera accurata il contenuto delle sedute di terapia e le indicazioni fornite dal terapeuta, risulta di notevole importanza per la riuscita del percorso terapeutico: il processo di cambiamento cognitivo delle credenze disfunzionali dipende tanto dall’apprendimento di interpretazioni più razionali e adattive del mondo, quanto dal riconsolidamento in memoria di queste nuove conquiste evolutive. Rispetto al consolidamento in memoria dei contenuti psicoeducativi, recenti ricerche sostengono che la psicoterapia cognitivo-comportamentale, nello stimolare il paziente a reagire emotivamente in modo più funzionale, induce una vera e propria modifica strutturale del sistema nervoso. Alcuni studi hanno verificato come sottoporre i pazienti ad esercizi di potenziamento della memoria, effettuati prima e dopo le sessioni terapeutiche, ottimizza il recupero dei contenuti delle sedute e migliora, di conseguenza, l’esito dei trattamenti.
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