Realtà virtuale e salute mentale
I vantaggi nel trattamento dei disturbi d’ansia
A cura di: Mariangela Lovecchio
In collaborazione con il Dott. Klodian Naci
“la realtà virtuale è la tecnologia più simile ai meccanismi della nostra mente. Ciò la rende una tecnologia “trasformativa” in grado di modificare le sensazioni, le emozioni, gli atteggiamenti e perfino l’identità dei suoi utenti.”
L’obiettivo della terapia virtuale, definita anche cyberterapia, è quello di far sperimentare al paziente delle esperienze simulate che richiamino situazioni della vita reale percepite come particolarmente critiche o minacciose, con l’obiettivo di favorire la gestione delle emozioni negative che queste situazioni elicitano. Secondo questo approccio, attraverso la realtà virtuale (VR) è possibile superare i limiti che la mente pone a sé stessa, uscendo dalla propria comfort zone (Gaggioli e Riva, 2019).
La VR è una tecnologia in grado di creare un livello di coinvolgimento molto elevato, grazie a tre qualità specifiche che coincidono con i suoi principali punti di forza, ossia connessione emozionale, attenzione totale e libertà creativa. Quello della VR è un ambiente sintetico creato al computer, in cui l’utente è completamente immerso grazie all’uso del visore (un dispositivo multisensoriale basato sulla visione binoculare e sull’audio binaurale), che consente di sperimentare il senso di presenza, ovvero il sentirsi dentro quell’esperienza e, attraverso specifici comandi, interagire con la scena in cui si trova, abbandonando qualsiasi contatto col contesto che abitualmente lo circonda. Il livello di immersione nella VR è tale per cui l’utente non si accorge del medium che la sta creando; ciò è dato sia dallo scenario creato al computer, in quanto rispetta una sorta di “realismo psicologico” ovvero risulta essere conforme alle aspettative dell’utente, sia dalla qualità delle immagini. Questi due aspetti hanno la funzione di stimolare il sistema sensoriale e motorio dell’utente, il quale, nella sensazione di essere lì (Steuer, 1992), mette in atto le proprie intenzioni diventando protagonista dell’esperienza.
La caratteristica immersiva di questo tipo di tecnologia ne ha permesso la diffusione oltre i confini del gaming e dell’intertainment da cui si era originariamente sviluppata, approdando ad ambiti completamente diversi, come quello educativo, medico-sanitario e, nel nostro specifico caso, quello della salute mentale. Diversi studi hanno dimostrato come gli ambienti virtuali (Virtual Environment) sono in grado di invocare gli stessi moduli cognitivi ed emotivi dell’esperienza reale equivalente, ad esempio, l’esposizione ad oggetti fobici virtuali induce reazioni corporee simili a quelle suscitate dal mondo reale; infatti, negli utenti, si registrano variazioni di frequenza cardiaca, conduttanza cutanea e temperatura periferica. Secondo diverse teorie neuropsicologiche (Damasio, 1999), l’interazione dei sensi con VR può generare input che, raggiungendo la neocorteccia, facilitano la modificazione di determinate associazioni cognitive. Dunque, secondo lo psicologo e ricercatore Giuseppe Riva, “la realtà virtuale è la tecnologia più simile ai meccanismi della nostra mente. Se la realtà virtuale è uno strumento tecnologico che simula la realtà, la nostra mente è un sistema biologico che ha lo stesso obiettivo: simulare la realtà per riuscire a prevedere opportunità e minacce. Ciò rende la realtà virtuale una tecnologia “trasformativa” in grado di modificare le sensazioni, le emozioni, gli atteggiamenti e perfino l’identità dei suoi utenti.” (Gaggioli e Riva 2019). La VR permette, quindi, di strutturare una terapia espositiva in un ambiente protetto, garantendo la sicurezza e la riservatezza dei pazienti. Evidenze scientifiche hanno dimostrato l’efficacia dell’utilizzo della VR in diversi quadri clinici, come i disturbi d’ansia, le fobie specifiche, il disturbo ossessivo compulsivo, l’abuso di sostanze, i disturbi dell’alimentazione, i disturbi della sessualità e la schizofrenia; la sua utilità, in ambito neuropsicologico, si è evidenziata anche in campo diagnostico, dato che i diversi scenari immersivi consentono di valutare il grado di compromissione delle funzioni cognitive (Faria et al., 2016). Inoltre, nell’ambito del potenziamento personale e professionale, la VR si è rivelata utile per i social skills training (abilità sociali), comunicazione assertiva, soft skills (competenze trasversali come creatività, leadership, problem solving, team working, intelligenza emotiva, apprendimento attivo), motivazione e molto altro.
I vantaggi della VR nel trattamento del disturbo ossessivo compulsivo (DOC)
Secondo il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5; APA, 2013), il DOC è caratterizzato dalla presenza di ossessioni, compulsioni o entrambi; le ossessioni e le compulsioni occupano molto tempo, causando marcato disagio e interferendo con le normali abitudini, attività o relazioni sociali e col funzionamento scolastico o lavorativo. Le ossessioni sono definite come pensieri, impulsi o immagini ricorrenti e persistenti, vissuti come intrusivi, egodistonici e indesiderati che causano ansia o disagio marcati; il soggetto tenta di ignorare o neutralizzare le ossessioni con altri pensieri o mettendo in atto una compulsione. Le compulsioni sono comportamenti ripetitivi o azioni mentali che il soggetto si sente obbligato a mettere in atto in risposta a un’ossessione o secondo regole che devono essere applicate rigidamente; le compulsioni sono volte a ridurre l’ansia o il disagio o a prevenire alcuni eventi temuti, per cui rappresentano il principale fattore di mantenimento del DOC. Come già accennato, la riabilitazione psicoterapica è uno degli ambiti più promettenti di applicazione della VR e nel caso del trattamento del DOC, essa è funzionale per: -l’esposizione verso stimoli potenzialmente ansiogeni; -l’elicitazione dei pensieri e dei contenuti mentali (ossessioni) ad esso associati; -l’osservazione/disconferma di tali pensieri; -la psicoeducazione; -la prevenzione della risposta; -la creazione di un maggior livello di accettazione dei pazienti DOC a sottoporsi a tale trattamento.
La Virtual Reality Exposure Therapy nel trattamento delle fobie specifiche
Il DSM 5 (APA, 2013) definisce la fobia specifica come paura o ansia marcate e persistenti verso un oggetto o situazione specifici (per es. volare, guidare, vedere il sangue, animali, ricevere un’iniezione), che vengono attivamente evitati; la paura o l’ansia sono sproporzionate rispetto al reale pericolo rappresentato dall’oggetto o dalla situazione specifici. La Virtual Reality Exposure Therapy (VRET) è stata integrata da diverso tempo con la terapia cognitivo-comportamentale (Gega, 2017), che prevede sia l’esposizione immaginativa che l’esposizione in vivo ripetuta e graduale, dello stimolo fobico (Hood & Antony, 2012). Quindi, alle suddette esposizioni, è stata affiancata la VRET che, invece, permette di esporre il paziente alla situazione temuta sperimentandola all’interno di unn ambiente virtuale controllato e protetto. I vantaggi della VRET sono numerosi, in particolare (Emmelkamp, 2005; Maples-Keller et al., 2017): -l’esposizione può essere effettuata direttamente nello studio del terapeuta (un ambiente comodo e sicuro); -il terapeuta ha un maggiore controllo sull’andamento e sull’esperienza stessa dell’esposizione; -l’esposizione può essere ripetuta per quante volte è necessario; -entro certi termini, l’esposizione può essere personalizzata sulla base del singolo paziente; - a seconda dello stimolo fobico, la VRET è economicamente conveniente (si pensi, ad esempio, alla paura di volare). Rispetto all’esposizione in vivo, inoltre, la VRET riduce i drop-out, ovvero le interruzioni della terapia (Garcìa-Palacios et al.,2007) e rappresenta un vantaggio per coloro i quali hanno scarse capacità immaginative (Wiedol et al., 2002). Un esempio di fobia specifica trattata con successo attraverso la VRET è rappresentato dall’Amaxofobia, ovvero l’ansia o paura di guidare. I soggetti che soffrono di amaxofobia non riescono a partecipare ad un’esposizione in vivo (Costa et al., 2018) mentre, poiché l’esperienza virtuale può essere percepita come più sicura e leggermente meno ansiogena di un’esposizione in vivo, la VRET risulta essere un ottimo ausilio. Attualmente esistono 5 App per il trattamento delle fobie specifiche, tutte programmate per esporre il soggetto a situazioni ansiogene stimolo-crescenti al fine di rendere tollerabili e gestibili le esperienze in cui la persona sperimenta la sua fobia: DRIVER (per il trattamento dell’amaxofobia - paura di guidare), KLOVER (per il trattamento della claustrofobia) ZOOPHOBIA RV (per il trattamento di fobie specifiche verso gli animali) AKRON (per il trattamento dell’acrofobia-fobia specifica per le altezze) e AVION (per il trattamento della fobia specifica verso il volo).
Oculus quest 2: il visore di ultima generazione
L’oculus quest 2 è un apparecchio stand-alone, ovvero contiene al suo interno tutto il necessario e non richiede una connessione esterna con un altro dispositivo. Rilasciato nel 2020, l’oculus quest 2 è un tipo di visore a 6 gradi di libertà, il che significa che oltre a ruotare la testa nell’ambiente virtuale possiamo camminare liberamente al suo interno. I controller associati, invece, funzionano come un puntatore laser e sono composti da un grilletto, un joystick e da 3 bottoni. Attraverso la funzione di mirroring che consente di collegare due dispositivi condividendone il contenuto, è possibile per il terapeuta vedere ciò che il paziente vede; questo permette di capire cosa lo attiva maggiormente, dandoci la possibilità di indagarne le cause. Grazie a questi sistemi si è in grado di pianificare esperienze positive e riadattare in tempo reale sfide e occasionali fallimenti. La finalità è aiutare il paziente a percepire la propria autoefficacia e quindi a promuovere e generalizzare il senso di competenza, abbattendo tempi, rischi e costi dell’esposizione in vivo.
Bibliografia:
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Botella, C., García-Palacios, A., Villa, H., Baños, R.M., Quero, S., Alcañiz, M., & Riva, G. (2007). VR Exposure in the treatment of Panic disorder and Agoraphobia: a controlled study. Clinical Psychology and Psychotherapy, 14, 164-175
Ciulli T. (2021) VR e Disturbo Ossessivo Compulsivo – IDEGO
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