Riabilitazione dei Disturbi Specifici di Apprendimento
A cura di: Mariangela Lovecchio
In collaborazione con la Dott.ssa Manuela Capobianco
L’espressione “DSA - Disturbi Specifici dell’Apprendimento” pone il nostro focus attentivo su una categoria di fragilità cognitive ed emotive appartenente ad una classificazione diagnostica ben più ampia, conosciuta col nome di disturbi del neurosviluppo. Secondo il DSM 5 (APA, 2013) tali disturbi costituiscono un gruppo di condizioni con esordio nel periodo dello sviluppo, caratterizzati da deficit che causano una compromissione del funzionamento personale, sociale e scolastico.
Relativamente al linguaggio specialistico qui utilizzato è necessario chiarire che un disturbo del neurosviluppo, di per sé, non identifica una patologia nel senso di malattia o disturbo mentale, ma riguarda una condizione umana in cui fattori neurobiologici ed ambientali si uniscono nel determinare un profilo di sviluppo relativamente atipico (cioè non presente nella maggioranza della popolazione). Tuttavia, il complesso insieme di fattori neurobiologici e ambientali presenti nella storia evolutiva individuale possono compromettere il benessere emotivo e cognitivo della persona ed il pieno sviluppo delle sue potenzialità; per questo si richiede una particolare considerazione, assistenza e tutela.
Caratteristiche dei DSA
I DSA interessano diversi aspetti degli apprendimenti scolastici di tipo strumentale e possono manifestarsi con caratteristiche diverse nel corso dell’età evolutiva, e diagnosticabili alla fine della seconda/terza elementare a seconda della specifica abilità strumentale di apprendimento.
Tali disturbi sono definiti “specifici” in quanto riguardano esclusivamente alcuni processi dell’apprendimento, cioè automatismi che non si sviluppano durante il percorso scolastico, lasciando però intatto il funzionamento intellettivo generale. Quindi, sulla base del deficit funzionale, si possono distinguere le seguenti condizioni:
dislessia: disturbo nella lettura, intesa come capacità di decodifica del testo (velocità e/o correttezza nella lettura);
disortografia: disturbo nella scrittura, intesa come abilità di codifica fonografica e competenza ortografica, ovvero delle regole di trascrizione, in tutti quei casi in cui non vi è corrispondenza diretta tra grafema e fonema (come nel caso dell’uso dell’h, degli apostrofi, delle accentazioni);
disgrafia: disturbo nella grafia, intesa come abilità grafo-motoria;
discalculia: disturbo nelle abilità di numero e di calcolo, intese come capacità di comprendere e operare con i numeri.
La causa dei DSA è da ricercare in disfunzioni neurobiologiche che interferiscono col normale processo di acquisizione di lettura, scrittura e calcolo; i fattori ambientali rappresentati da scuola, ambiente familiare e contesto sociale si intrecciano con quelli neurobiologici, contribuendo a definirne un maggiore o minore adattamento. Spesso vi è comorbilità interna, ovvero la compresenza di più disturbi dell’apprendimento, così come vi può essere la comorbilità con altri disturbi del neurosviluppo, ad esempio col disturbo da disattenzione con /senza iperattività. L’impatto dei DSA è alquanto rilevante: è una delle cause di svalutazione delle proprie capacità, di abbandono scolastico prematuro e di riduzione della realizzazione di potenzialità sociali e lavorative; il mancato o tardivo riconoscimento del disturbo può causare, inoltre, un aumento della comorbilità con disturbi di interesse psicopatologico quali ansia, depressione, e disturbi della condotta.
Il decorso dei DSA è generalmente considerato cronico, sebbene l’andamento di tali disturbi possa variare da caso a caso. Le difficoltà causate dai DSA incidono in modo importante su fiducia, autostima e motivazione dei bambini: per questo il supporto psicologico, rivolto non solo all’alunno ma anche ai genitori, è fondamentale per prevenire problematiche più gravi. D’altronde, come ha affermato il poeta Philip Schultz, “In un certo senso i dislessici sono condizionati dal loro ambiente a considerarsi l’unica causa delle proprie difficoltà di apprendimento. Se si chiede a un dislessico si scoprirà tutto un mondo di rimorsi, sensi di colpa e vergogna. Per i bambini che apprendono presto di essere dislessici e che ottengono aiuto e sostegno, è diverso, anche non del tutto. È sempre doloroso per un bambino sapere di essere diverso e di essere etichettato come tale.” (Philip Schultz, “la mia dislessia-Ricordi di un Premio Pulitzer che non sapeva né leggere né scrivere” 2015)
Le difficoltà cognitive associate ai DSA: il ruolo delle Funzioni Esecutive
Le funzioni esecutive sono considerate abilità cognitive di alto livello, continuamente interagenti e in reciproco supporto. Possono essere definite come capacità che entrano in gioco supportando i processi cognitivi e il ragionamento, in situazioni e compiti in cui l’utilizzo di comportamenti e abilità di routine, chiamati automatismi, non è più sufficiente alla loro riuscita. Nel caso, ad esempio, delle abilità di apprendimento scolastico come la lettura, la scrittura ed il calcolo, è richiesto un notevole incremento del carico cognitivo e quindi un conseguente aumento dell’attività delle funzioni esecutive, la cui influenza sull’apprendimento risulta essere maggiore rispetto a quella del quoziente intellettivo (Blair e Raza, 2011).
Attualmente, il modello teorico più accreditato circa le funzioni esecutive è quello di Miyake e collaboratori (2000); tale modello prevede che queste siano essenzialmente composte da 3 sottosistemi: inibizione della risposta - inhibition, che è la capacità di inibire deliberatamente gli impulsi e le informazioni irrilevanti; flessibilità cognitiva - shifting, ovvero l’abilità di attuare comportamenti diversi in base al cambiamento di regole o del tipo di compito; aggiornamento della memoria di lavoro - updating, che riguarda l’abilità di mantenere in memoria informazioni e manipolarle per brevi periodi di tempo.
Come accennato in precedenza, l’ingresso a scuola e l’acquisizione delle competenze di lettura, scrittura e di calcolo, richiede un carico cognitivo notevole; la memoria di lavoro -Working Memory- permette di mantenere temporaneamente attive nella mente le informazioni provenienti da input esterni o dalla memoria a lungo termine (MLT) e, simultaneamente, di aggiornarle ed elaborarle. A seconda della tipologia di informazioni e stimoli che vengono elaborati e manipolati dal cervello, la memoria di lavoro può essere denominata verbale o numerica. Diversi studi hanno dimostrato che, a livello di correlati neuronali, la corteccia prefrontale dorso-laterale sia l’area maggiormente coinvolta nei compiti di memoria di lavoro.
Il modello della WM attualmente accreditato è quello proposto da Baddeley (Baddley e Repovs, 2006) che prevede: l’Esecutivo Centrale (Central Executive), un sistema attenzionale che supervisiona due sistemi ausiliari (servo-sistemi o slave system); il Ciclo Fonologico (Articulatory Loop), servo-sistema che mantiene per breve tempo le informazioni uditive e verbali; il Taccuino Visuo-Spaziale (Visuo-Spatial Sketch Pad), servo-sistema impegnato nella rappresentazione dello spazio ed infine il Buffer Episodico (Episodic Buffer), che gestisce e coordina la memorizzazione e l’integrazione delle informazioni che provengono dai due sotto-sistemi con quelle della MLT.
I bambini alle prese con i nuovi compiti di apprendimento devono utilizzare maggiori risorse di WM e per tale ragione essa riveste un ruolo molto importante nell’apprendimento. Il compito di lettura, ad esempio, implica l’abilità di riconoscere i grafemi e di “fonderli” per comporre le parole. Leggere non implica semplicemente una capacità percettiva-sensoriale (vedere i grafemi) o metafonologica (associare un suono ad un segno); implica anche la capacità di memorizzare tale associazione, riconoscendola ogni qualvolta si ripresenta ai nostri occhi, in definitiva, farla diventare un automatismo. La memoria di lavoro è quindi un requisito importante per una corretta lettura. I bambini dislessici hanno difficoltà specifiche nella decodifica dei grafemi e in tale processo di decodifica si registra un sovraccarico della memoria di lavoro. È come se i dislessici leggessero tutto per la prima volta, compiendo un doppio sforzo mentale.
Secondo Holmes, Gathercole e Dunning (2009), potenziare l’efficienza della WM accrescerebbe l’utilizzo di strategie per l’apprendimento, grazie all’impiego di tecniche come la ripetizione continua degli elementi che consentono la creazione di appunti mentali.
Training di potenziamento cognitivo funzionale
I Training di potenziamento cognitivo o neuropsicologici sono degli specifici strumenti e attività che mirano a rafforzare sia le funzioni cognitive dominio-generali (memoria, attenzione, programmazione, linguaggio e ragionamento) sia gli aspetti dominio-specifici strettamente correlati alle abilità scolastiche (lettura, scrittura, calcolo e comprensione). Si tratta di un vero e proprio percorso di “allenamento” intensivo e potenziamento delle funzioni cognitive e delle abilità di lettura, scrittura, comprensione e calcolo, attraverso esercitazioni e soprattutto mediante l’utilizzo di software riabilitativi di ultima generazione. I training sono calibrati in base all’età e al tipo di difficoltà e risorse emerse durante la valutazione neuropsicologica.
I training possono venire svolti in età prescolare e dai 6 anni in su con obiettivi diversi: dai 6 agli 8 anni le attività saranno principalmente sotto forma di giochi e attività che vanno a potenziare le funzioni cognitive o quegli apprendimenti che sono deficitari. Dai 9 anni in su invece si parlerà di un training di tipo metacognitivo volto a promuovere il monitoraggio dei propri processi cognitivi e l’attitudine a riflettere sul proprio operato attraverso l’interiorizzazione di un approccio attivo e costruttivo al compito (acquisizione di un metodo di studio e di strategie funzionali all’apprendimento). Uno degli obiettivi del training con i ragazzi più grandi è il miglioramento dell’autoefficacia personale e della motivazione intrinseca all’apprendimento.
In ciò sta l’importanza di un training di potenziamento, in quanto il bambino/ragazzo ha la possibilità di imparare metodi alternativi che gli permettano di raggiungere comunque l’obiettivo prefissato, che sia esso di lettura, comprensione, calcolo oppure l’acquisizione di un metodo di studio.
Bibliografia:
APA – American Psychiatric Association (2013) Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali. Quinta edizione, a cura di M. Biondi, R. Cortina.
Benso, F. (2018) “attenzione esecutiva, memoria e autoregolazione-una riflessione neuroscientifica su funzionamento, assessment, (ri)abilitazione” – Hogrefe.
Blair, C. et al. (2007) “relating effortful control, executive funtion, and false belief understanding to emerging math and literacy ability in Kindergarten” - Child development, 78, 2, 647-663.
Holmes, J. Et al. (2010) “working memory deficits Can be overcome: impacts of training and medication on working memory in children” – applied cognitive psychology, 24, 827-836.
Orsolini, M. (a cura di; 2019) “pensando si impara-stimolare l’attenzione, le funzioni esecutive e la memoria di lavoro nei bambini con bisogni educativi speciali” – Franco Angeli.
Marotta, L e Varvara, P. (a cura di; 2018) “funzioni eseccutive nei DSA-disturbo di lettura: valutazione e intervento” – Erickson.
Miyake, A. et al (2000) “the unity and diversity of executive function and their contributions to complex frontal lobe tasks: a latent variable analysis” - Cognitive psychology, 41, 49-100.
Repovs, G. E Baddeley, A. (2006) “the multi-component model of working memory: explorations in experimental cognitive psychology” - neuroscience.
Schultz, P. (2015) “La mia dislessia- Ricordi di un Premio Pulitzer che non sapeva nè leggere nè scrivere” – Feltrinelli.
Zelazo, P.D. et al. (2003) “the development of executive function in early childhood” – monographs of the society for research in child development, 68, 1-137.